E già - Intervista a Gered Mankowitz

E già - Interno

Un altro fotografo, Gered Mankowitz, ci dà una testimonianza della sua esperienza lavorativa con Lucio.


La copertina di E già è una delle più belle ed eleganti di Battisti, fu lo stesso Lucio a contattarla oppure la BMG?
Mi contattò qualcuno della casa discografica.
È stato difficile lavorare con Lucio Battisti? Un artista notoriamente molto pignolo per quanto riguarda la realizzazione delle sue copertine.
Non è stato affatto pignolo, mi ha riempito di richieste e non ho avuto alcuna difficoltà ad accontentarlo. Credo fosse uno di quegli artisti che tirava fuori il meglio da chiunque lavorasse con lui.
Si è sempre sostenuto che le fotografie furono scattate nel sud della Gran Bretagna, qual è la località esatta?
Non ricordo esattamente dove, ma era in Galles. Lucio aveva già un’immagine predefinita dell’ambientazione, così abbiamo cercato un posto che potesse avvicinarsi il più possibile alla sua idea.
Il senso di riflessione che pervade l’intero disco è magnificamente riprodotto sia con la foto di copertina delle scarpe, come se il soggetto avesse lo sguardo rivolto verso il basso (che in psicologia indica uno stato di riflessione interiore), sia nella magnifica foto dell’interno dove il soggetto in solitudine si guarda allo specchio. Lucio accettò subito di posare come soggetto per le fotografie?
Mi sono sentito perfettamente a mio agio con Lucio e con le idee che aveva per la copertina. Non ho mai avuto alcun tipo di problema per le pose, per l’angolazione della camera o per tutto questo genere di situazioni che a volte sorgono nel mio lavoro. Ricordo l’atmosfera, durante gli scatti, gioiosa e divertente, piena di risate e senza difficoltà di sorta. L’unica situazione imbarazzante fu in albergo a causa del cibo veramente pietoso, ma anche lì, Lucio, si mostrò comprensivo e simpatico.
Il suo rapporto artistico con Battisti si è esaurito con la realizzazione di E già o ci sono stati altri contatti, per foto promozionali, ritratti o altro?
Abbiamo fatto altre foto per la pubblicità o per la promozione, sempre nella stessa spiaggia (o lì attorno), ma poi non ho avuto più alcuna possibilità di incontrare Lucio e non ho la più pallida idea di cosa abbia fatto da lì in poi.
 

Intervista a Mara Cubeddu


L’unica voce che abbia mai cantato con Lucio Battisti. Desaparecida da molto tempo. Dopo un lungo inseguimento fatto di tante mail si è finalmente e fatalmente “concessa”. Un’intervista fiume, al telefono, oltre l’oceano e gli Stati Uniti. Da Milano a Los Angeles per tante ore. Una chiacchierata che è costata qualche ora di sonno, ma che ha rivelato una donna sicura di sè, simpatica e trasparente.
Ladies and gentlemen, ecco a voi… Mara Cubeddu.

Raccontati un po’, dall’inizio.
Sono nata il 5 maggio, Toro ascendente Sagittario, nel vecchio ospedale di Monza. Le origini sono sarde, i miei genitori lo sono e il mio cognome ne è la prova evidente.
Mi ha scoperto Mario Lavezzi. Ero in Galleria del Corso per fare dei provini. Volevano formare un gruppo di sole donne che si sarebbe chiamato “Le figlie del vento” (che poi andarono a Sanremo). Era la sede di un’edizione musicale di qualche tipo, non me ne ricordo. Mi aveva invitato un amico, Beccaria. Mentre aspettavo il mio turno salì Mario, che ancora non conoscevo, e, fra tutte le persone che erano in attesa, si mise a parlare con me. Mi invitò a sostenere un provino alla Numero Uno, al piano di sotto. «Finisci pure qui, se vuoi, poi vieni giù…». Quando mi disse chi era a me non sembrava vero. Scesi immediatamente. Mi presentò agli altri che si trovavano lì quel giorno, Battisti, Mogol, Mara Maionchi, Alberto Salerno. Mi pareva un sogno. Mi fece il provino e mi disse che era stato fantastico, bla, bla… ed entrai a far parte della Flora Fauna Cemento. Stavano cercando una sostituta per Babelle che aspettava un figlio da Dattoli, se non ricordo male.
Ero talmente giovane, avevo 16 anni, che Lavezzi e Mogol dovettero chiedere a mio padre il permesso per la mia prima tournée e le serate che avrei dovuto fare. In quel periodo la FFC era composta da Lavezzi, Bruno Longhi e quello che è diventato direttore artistico della Ricordi e di cui mi sfugge il nome [Sergio Poggi, ndr] più Barbara Michelin. Avevano già inciso Mondo blu. Registrammo quel famoso album [Rock, ndr], che sto ancora cercando disperatamente, dove io cantavo anche un pezzo con Mario, Come bambini, scritto da Mogol. È stato molto divertente da fare.
Alla prima tournée si aggregò anche Mogol, in incognito, per una decina di giorni. Eravamo al sud, a Brindisi. Lì Mogol mi aveva ribattezzata: «No, tu non sei Mara! Sei più Bea.». Diceva che avevo la faccia da Beatrice. E così divenni Bea, per tutti. Mogol ha avuto una grossa influenza nella mia vita. Passavo molto tempo con lui, ero un po’ la sua prediletta. Ci piacevamo come persone. Mi portava dappertutto. Una storia l’ho avuta con Lavezzi. Che, tra l’altro, stava con un’altra anche se io non lo sapevo. Il mio primo impatto sentimentale e musicale. Mario era molto più grande di me. Alto, affascinante. Mi ha fatto la corte e io ho accettato senza sapere dell’altra. Erano i primi tempi con la FFC e io non sapevo che era fidanzato con una certa Arlette. Una sera mi venne a prendere perché dovevamo andare a una specie di festa, nel posto dove vivevano Battisti e Mogol. Acqua Fragile e PFM si esibivano quella sera per il nostro entourage. Mi disse che sarebbe passato con un’amica. Arrivò con la sua Porsche rossa, o bordeaux, e vidi questa bellissima ragazza bionda seduta davanti. Mi accomodai dietro. Arrivammo a questa festa della Numero Uno. Ci sedemmo: Mario in mezzo, io da una parte e Arlette dall’altra. Venne qualcuno e chiese a loro due quando si sarebbero sposati. Scoprii così che lui stava con un’altra. È stata la mia prima lezione di vita. Me la ricordo bene ancora adesso, ma ci scherzo sopra. Abbiamo passato dei begli anni lavorando insieme finché io sono andata coi Sentacruz e lui ha fondato il Volo, in cui Giulio credeva molto.
Primo lavoro importante i cori ne Il mio canto libero nel 1972.
Penso di sì. Di primo acchitto mi viene Il nostro caro angelo, ma mi sa che abbiamo fatto anche il disco precedente. A quei tempi chi era a disposizione veniva utilizzato. Ne abbiamo fatte parecchie di queste cose, però, sai, vattelapesca… È passato talmente tanto tempo…
Qualche ricordo?
Battisti a me è sempre piaciuto tanto, anche se io ho avuto più a che fare con Mogol, per via della nostra amicizia. Ci si frequentava continuamente, non era solo lavoro. Con Giulio era proprio vita sociale. Con Mario anche. Ma pure con gli altri, Lorenzi, Cicco, che era adorabile. Radius mi è sempre stato un po’ meno simpatico, un po’ più sbruffone, “romanaccio”. Però si andava molto d’accordo, tutti insieme si stava bene. Battisti era una persona fantastica, anche se un po’ introverso. Anzi, era da un lato introverso e dall’altro un gran chiacchierone. Parlava tanto, era uno che raccontava un sacco di cose. Ho un bel ricordo di lui. In quel periodo era innamorato della lingua tedesca. Anche se a nessuno piaceva a lui sembrava molto bella.
La tua voce nell’unico duetto che Lucio Battisti abbia mai fatto (a parte quelli con Mina dal vivo in tv): Due mondi.
Ero nel giro ma certamente è stato merito di Giulio. Avrebbe dovuto lanciare la mia carriera solista. Ho cantato dal vivo in sala con Battisti. Non è stata “buona la prima”, ma forse la seconda o la terza. Lui preferiva che ci fosse l’interpretazione giusta piuttosto che la perfezione tecnica. Anche per sè stesso. Avevamo un microfono ciascuno e l’abbiamo fatta non più di quattro volte. È andata così. Per la mia giovane età e la poca esperienza ero molto emozionata. Cantare con lui! In diretta!
Oltre a Due mondi per Anima latina ho fatto un po’ di coretti che stanno sotto ad alcuni pezzi. Gli uomini celesti sicuramente. E c’è la mia voce anche in qualcos’altro, niente di “major”.
È stato uno dei suoi album più di ricerca, alternativo. Erano stati in Sud America, in Brasile, lui e Giulio. Anche per parecchio tempo, tre mesi o forse più. Era tornato entusiasta. Penso che Anima latina sia stata una fusione delle radici italiane con la musica latina sudamericana a cui è stato esposto durante il viaggio. C’era stato poi un rifacimento di qualche tipo. C’era una ragione ben precisa, ma non me lo ricordo.
Poi sei andata via dalla Numero Uno.
Avrei dovuto fare la mia carriera solista con la Numero Uno (che poi ho avuto, ma senza Giulio), sono entrati in ballo i fratelli Dammicco ed è nata tutta un’altra storia. Mi ero allontanata anche per mettere fine alla storia con Mario perché mi faceva stare male. Quando Vince Tempera e Ciro mi chiamarono per incidere Soleado non sapevano che sarebbe stata lanciata da Arbore ad Alto Gradimento. Ci è un po’ scoppiata in mano. È scoppiata a loro, perché loro erano i produttori. Insomma, Ciro mi chiese di far parte del gruppo perché sapeva che avevo già cantato da altre parti. Avevo già preso parte al gruppo di Paola Orlandi, qualche volta, facendo i cori assieme. Ho girato con Pappalardo, Silvia Annichiarico e Lalla Francia alle voci, Umberto Tozzi al basso, Mia Martini. Ricordo volentieri Finardi, che mi era molto simpatico. Anche con Graziani avevo legato. Avevo un debole per Ivan. Ho inciso anche un paio di canzoni con lui, ma non sono mai uscite. Doveva essere il mio primo disco solista per un Sanremo che poi non ho fatto. Erano due canzoni che ho ancora da qualche parte. Una era Il mago di Oz e l’altra Resta stasera, mi pare. Ivan, oltre a essere un grande musicista, era una persona fantastica. Avevamo le origini sarde che ci accomunavano. E poi la sua simpatia e la sua umanità.
Quindi sono entrata in un giro completamente diverso e non li ho più frequentati.
Il periodo successivo alla Numero Uno è un capitolo della mia vita che non mi ha soddisfatto particolarmente. Coi Sentacruz da Linda bella Linda abbiamo fatto tutte canzoni con lo stampino. Non siamo più cresciuti se non con l’ultimo album, Diventiamo più amici, che abbiamo fatto con Mogol e prodotto da quell’inglese che fece anche i dischi con Battisti. Abbiamo lavorato in Italia e a Londra e lui fece tutti gli arrangiamenti vocali.
E poi?
I Daniel Sentacruz erano Ciro. All’inizio c’era anche Vince Tempera. Mi sembra che l’ultima volta con lui fosse una cosa che Ciro fece con Deodato. Fu l’ultima volta che lo vidi; una gran persona che ricordo sempre volentieri e con cui ho lavorato benissimo. È venuto con noi a Sanremo e ci ha diretti. Anche quando abbiamo fatto West side story. Come si chiama? «I’d like to be in America…». Ne avevamo fatta una versione Sentacruz e abbiamo partecipato come ospiti a un Festival di Venezia. Dal vivo, e c’era anche Vince. Era forse il 74. Abbiamo ballato e cantato. C’erano anche dei ballerini. Forse Bruno Sartori dovrebbe avere una registrazione della serata, perché lui possedeva uno dei primi v.c.r. Ma non sono mai riuscita a rintracciarlo. Un’altra persona fantastica che ricordo volentieri.
Ma allora hai incontrato solo persone fantastiche?!
No, no. Ho incontrato anche degli stronzi pazzeschi che non è carino nominare…
Eddai, i nomi.
No, non li farei mai. Comunque anche la gente un po’ stronza ti tempra. Persone che non sono entrate nel mio album dei preferiti. Che mi hanno raggirato, un po’ come succede a molti giovani.
Sembri molto saggia.
A parole, forse, ma nei fatti… Nella mia vita, personale e professionale, non lo sono stata per niente. Però non sono pentita di nulla, anche perché le cose, fortunatamente, sono poi andate per il verso giusto. Forse a livello artistico un paio di cose le avrei fatte diversamente. Sono stata anche sfortunata. Avevo difficoltà a domandare: le persone con cui avrei voluto lavorare non me l’hanno chiesto mentre altri con cui non volevo lavorare si sono fatti avanti.
Avevo cercato di lavorare con Mario, ma lui era impegnato con Loredana (Bertè, ndr) e non se ne fece nulla. Anche se con Mario come produttore mi è sempre piaciuto lavorare. Mi piaceva come scriveva, mi piaceva come lavorava. Mi trovavo bene con lui perché lo stimavo come musicista. Ho nicchiato un po’ e le due cose soliste le ho fatte con Ciro. Per convenienza. Eravamo “busy”. La mia voce e la mia immagine funzionavano e così anche RCA e Numero Uno erano d’accordo sul fatto che lavorassi con lui, sperando di bissare i successi precedenti. E invece no, non è andata. Meno male. Perché anche le cose che avevo fatto per la Numero Uno prodotte da Ciro non erano dei capolavori a parte un pezzo di Manrico Mologni (il cognato del batterista dei Sentacruz, GIanni Calabria), Volo più su.
Con la Numero Uno avevo inciso Rinascerò libera, Sognare… poi volare via, Come una bambolina, Ragazza di strada che mi piaceva, niente di incredibile, ma mi ero divertita a cantarla. Poi, più avanti, con la Emi ho fatto Pompei. In quel disco c’erano cose che mi sono piaciute. La più bella sicuramente Vela x. Ma anche Pompei è molto carina. Ogni tanto le riascolto. Ne ho registrate talmente tante, alcune non sono mai nemmeno uscite. Ho provini, dischi, tutto. Le cose “tecniche” le ho salvate io, mentre gli articoli, le recensioni, i giornali, che conservo come piccoli tesori, li ritagliava mia madre, anche perché allora a me non interessavano. Alcuni dischi che non avevo, specie dei Sentacruz, li ha recuperati mio nipote, William Cubeddu, che ora ha trent’anni, e gira i mercatini a cercare vecchi album e i vecchi dischi di sua zia.
Torniamo a noi.
Ho provato a lavorare con Radius ma non ci siamo “presi” troppo bene. Poi ho provato con Ruggero, come si chiama? Enrico Ruggeri. Ma anche con lui stessa solfa. Venendo dai Sentacruz, quando con la Numero Uno abbiamo cercato di far prendere alla mia carriera una piega diversa, la gente non pensava che io fossi in grado di fare una musica un po’ più impegnata. Li ho trovati con un po’ di puzza sotto il naso da questo punto di vista o, forse, ero anche intimidita da loro. Erano personaggi un po’ particolari che non mi hanno reso le cose facili. La Numero Uno chiese loro di fare qualcosa con me e mi dette l’impressione che accettarono per via dei loro legami con la casa discografica, ma non trovai la condizione ottimale per lavorare con loro. Era il primo gradino per poter fare cose più interessanti. A quei tempo ero molto più sensibile e invece… E invece, forse, è stata anche un po’ colpa mia. Forse dieci anni dopo le cose sarebbero andate diversamente.
Una persona con cui avrei lavorato volentieri è Lucio “violino” Fabbri. Lo trovavo bravissimo. Dopo il mio disco con la Emi avevo capito che avrei dovuto cominciare con un produttore e non con una casa discografica. Lui era già uscito dalla PFM e stava lavorando con Cristiano De Andrè e con quell’altra biondina… Rossana Casale. Avevo sentito quello che faceva e, oltre a essermi simpatico, sapevo e capivo che mi sarei trovata a mio agio con lui. L’avevo conosciuto casualmente a una festa ed ero rimasta fulminata dalla sua personalità e dalle cose fatte da lui che, dopo averlo conosciuto, avevo ascoltato. Ma non c’è mai stato un “follow up”. Ho pensato che potesse essere la persona giusta con cui lavorare, fare le cose che mi interessavano. Poi ho lasciato perdere la musica, quindi… In realtà ho partecipato, nel novembre del 2000, a un Magnificat come soprano. Il Millennium Choir, organizzato da Beppe Cantarelli, che qui negli States ha lavorato anche con Quincy Jones. Un bravissimo chitarrista con cui avevo arrangiato un paio di pezzi di Pompei. La mia canzone favorita e che non piace a nessuno Keep on trying, un po’ punkettara. Anzi, in realtà avevo cominciato con lui poi l’avevo fatta con Steve Porcaro dei Toto. Avevo la melodia in testa e lui, che abitava con Armando Gallo con cui stavo quando arrivai negli Stati Uniti, mi aveva messo queste quattro note. Scrivevo parole e musica, grazie anche alla mia istruzione musicale. Ho fatto il conservatorio Giuseppe Verdi a Milano, seguendo la passione di mio padre per il canto. Quindi ho fatto tanto solfeggio e lirica. Infatti, se ascolti bene la mia voce, un minimo di impostazione lirica, che poi non mi sono più tolta, c’è, da qualche parte. Poi ho fatto un paio di anni di chitarra classica, un anno e mezzo di pianoforte. Però, alla fine, non è che sappia suonare. Qualcosina, ma la cosa che mi piace è creare melodie con la mia voce. Qualcun altro, poi, mi deve fare l’arrangiamento. Ultimamente non ho fatto un granché: ho un sacco di canzoni che non sono finite.
Qui, negli Stati Uniti, nel 1999, ho fatto un cd demo con tre canzoni in inglese, più un’altra che non ho inserito, collaborando con una ragazza americana per i testi, anche se le idee di base erano mie. Mi piace come scrivo le parole, è un modo particolare, tutto mio.
E l’Italia?
Nostalgia dell’Italia, direi di sì, anche se sono spesso lì per via del mio lavoro. Quest’anno è stato forse il primo anno che non ci ho messo piede. Ormai la mia vita è più qui che altrove. Sono arrivata che avevo 26, 27 anni. In Italia ci sto bene, però gli Usa sono la mia terra adottiva. È anche vero che guardo sempre RaiSat, mi tengo aggiornata sulla musica italiana che trovo bellissima, soprattutto i giovani (sarà la nostalgia?). Qui dove lavoro siamo tutti italiani. Probabilmente non mi manca troppo l’Italia anche per questo motivo, sono continuamente a contatto col mondo italiano. Mi occupo di musica e gioielli e, assieme ai miei colleghi, organizzo un sacco di eventi che hanno a che fare con l’Italia.
Battisti con Panella. L’hai seguito, lo conosci?
Ho visto una trasmissione su Rai International su entrambi. La mia idea è che sono state talmente magnifiche le cose che ha fatto con Mogol che qualsiasi altra cosa… Quello che ha fatto Panella con i testi era piuttosto interessante e lo stesso Battisti era cambiato nel modo di scrivere. Stava entrando in un periodo diverso della sua vita, aveva ispirazioni differenti, immagino. I testi erano sì interessanti, ma non poetici come quelli di Giulio. Mogol dice le cose più semplici nella maniera più incredibile. Cose che sembrano normali, che sembra siano state già dette, ma in effetti non è così. La bellezza di quei testi sta nella loro semplicità, anche se solo apparente. Panella è meno immediato. Penso non si possa fare un paragone. Ho sentito poco quelle canzoni. Mi sono però ripromessa di prendere tutta la loro produzione e ascoltarmela per bene.
Forse la cosa che mi è piaciuta di meno fra quelle che ho sentito è stato l’album che ha fatto con sua moglie. Anche se sono dischi, lo ripeto, che ho sentito un po’ di fretta. Senza riascoltarli attentamente. Fra le canzoni che ha fatto con Letizia e quelle con Panella preferisco queste ultime. Quello che ha fatto con Panella era una grande sperimentazione. Cos’aveva da provare ancora Battisti? Niente. Penso che Lucio sia stato unico. Pensa anche alla fortuna di incontrarsi per due tipi come Lucio e Giulio. Incredibile, eh? Irripetibile! Ciò che mi stupisce di Lucio Battisti è la continuità nella sua creatività. Sono andati avanti anni, anni, anni e anni senza mai essere banali. Senza mai sbagliare niente. Si parla tanto di Battisti e meno di Giulio. Altrettanto geniale. Grande tanto quanto Lucio. Non dimentichiamoci che Giulio non si occupava solo dei testi. Partecipava a tutto l’evento creativo, dall’inizio alla fine. Sono sicura che hanno cambiato tante parti musicali insieme. E poi il modo di cantare di Lucio. Non più la bella voce all’italiana. Al Bano, Claudio Villa, belle voci, poi, quel tipo di adesso, come si chiama? Bocelli. Tante altre voci bellissime che si ascoltano sempre volentieri, che danno delle emozioni. Lucio, nonostante non avesse una voce incredibile, ce l’aveva comunque, non so come dirti. È stato uno dei primi fautori di questo modo di cantare un po’ meno perfetto, un po’ meno “perbenistico”, all’italiana. La loro musica era il risultato di tante cose messe assieme.
Stavano sempre insieme. Si erano comprati anche casa uno attaccato all’altro. È stata proprio una comunione. Non poteva essere altrimenti per poter scrivere i capolavori che hanno fatto. Poi sono arrivati al pieno e, purtroppo, è scoppiato tutto.
A proposito. Della moglie cosa ricordi?
Forse l’ho vista un paio di volte. Molto sulle sue, piuttosto timida, un po’ schiva, certo molto più di lui. Lui era romano e alla fine la sua romanità usciva. Passava da momenti in cui era taciturno ad altri di ilarità in cui parlava, parlava… Mentre l’impressione che ho avuto di lei, e che riesco a giudicare un po’ adesso, è di una persona più nordica da quel punto di vista. Forse più fredda. Però non mi è sembrata quella grande arpia che hanno descritto. Mi pare ci fossero dei problemi fra lei e Giulio, però… boh… Lucio e Giulio erano una coppia a tutti gli effetti, anche se non c’era sesso fra loro, ovviamente. E Letizia forse era un po’ gelosa e viceversa. Quindi forse non c’era nessuna grande frizione alla fine, ma un po’ di gelosia dovuta al fatto che nessuno dei due aveva Lucio per sé al 100%. Lei aveva una certa influenza su di lui, com’è giusto che sia fra due persone che si amano. La rispettava molto, teneva in grande considerazione il suo giudizio, Cosa che prima, forse, non succedeva quando lei non era ancora all’orizzonte. Giulio evidentemente influenzava anche la loro vita sentimentale e certamente portava via qualcosa anche a lei. Insomma, mi ha dato questa impressione di frizione. Con questo lei non mi ha mai fatto una brutta impressione, anzi. Avendo conosciuto Lucio, così solare, positivo, non poteva mettersi con qualcuno che rispecchia le descrizioni che sono state fatte di lei, un po’ la Yoko Ono nostrana. Non mi ha mai convinto questa cosa.
Probabilmente hanno fatto quel disco assieme perché lei si è messa nello spazio vacante che si era creato in quel momento. Per sperimentare. Certamente la collaborazione con Giulio non è finita per lasciare il posto a lei. Penso che la loro collaborazione sia stata logorata dal tempo. Quello che avevano da fare l’avevano fatto. Il destino era compiuto. Doveva andare così. Non vedo grandi manipolazioni sotto. Anche perché non erano due personaggi che si facevano manipolare. Nessuno dei due.
Sto parlando troppo, oddio! Ma c’è talmente tanto da dire di quel periodo e ogni tanto si sconfina un po’. Riportami un po’ in riga tu. Anche se ciò che sto raccontando sono “recollection”, magari filtrate dall’esperienza che ho accumulato in questi anni.
Qualche domandina veloce. Il primo concerto a cui sei stata?
I Chicago.
Il primo disco che hai comprato?
Uno dei Manfred Men o uno dei Turtles (mi canticchia un pezzo), poi i Beatles, Whiter shade of pale dei Procol Harum. A tutti questi mi introduceva mio fratello più vecchio di me di sette anni. Gli rubavo anche i dischi. Fra gli italiani direi Donatello: «Come un sasso che, l’acqua tira giù…». Mi piace anche Daniele Silvestri, Carmen Consoli, mille altri. Zucchero è un altro che adoro, anche come persona pur non conoscendolo personalmente.
Adesso ascolto molto le donne. Kate Bush è il mio amore, mi ha sempre affascinato: la trovo geniale.
Beatles o Rolling Stones?
Beatles.
Prince o Michael Jackson?
Jacko.
Madonna o Mina?
Mina l’adoro. Fin dalle Mille bolle blu. Tutto ciò che ha fatto l’ha fatto alla grande. Anche Madonna però mi piace molto. Sono cresciuta con la musica degli anni 80. La british invasion.
Flora Fauna Cemento o Daniel Sentacruz Ensemble?
Matia Bazar! Avrei voluto far parte del gruppo. Poi c’era quell’antipatica della Ruggiero. Non mi salutava mai. Forse le ero antipatica io. Però l’ammiravo ed era molto brava. Mi piacciono meno le cose che fa adesso.
La canzone che avresti voluto cantare?
Imagine. L’avrei scritta volentieri!
Fumi?
Ho ripreso dopo quasi quindici anni di stop. Magari hanno influito anche i due divorzi, pur se superati benissimo. Chissà… Ora poi ho un boyfriend che beve e fuma e gioca a poker, quindi… Ogni tanto mi bevo un Margarita, un goccio di tequila. Mi piace lo champagne e il vino rosso, ma a tavola posso anche pasteggiare a Coca Cola.
Preferisci i primi o i secondi?
I primi.
Dolce o salato?
Dolce.
Gelato alla vaniglia o al cioccolato?
Dipende dall’umore.
Estate o inverno?
Estate.
Calze o collant?
Le prime.
Tacchi o scarpe basse?
Solo tacchi alti in questo periodo. Va così.
Gonna o pantaloni?
Pantaloni per comodità, ma se devo mettermi sexy non ho dubbi: gonna e calze.
Ti piaci?
Mi piaccio molto ma non sempre e lì soffro. Devo piacermi e piacere. Sono vanitosa. Mi piace piacere e se non piaccio… devo piacere. Di solito, come persona, e non solo a livello fisico, piaccio quasi sempre. In genere ho un impatto positivo. Se invece succede il contrario… Anche se poi arrivo sempre.
Cane o gatto?
Gatto, gatto, ne ho tre.
Bagno o doccia?
Doccia. Magari il bagno lo faccio con qualcuno, una cosa romantica.
Auto o moto?
Automobile.
Mare o montagna?
Mare.
Qualcuno lì negli Stati Uniti sa del tuo passato?
Qualche italiano mi riconosce ancora ogni tanto, ed è divertente. Sono tornata nell’ombra molto volentieri e ci sto bene. Non ho assolutamente rimpianti. Mi sono divertita sia quando facevo l’artista sia dopo. Però quando cantavo era faticoso. Adesso, se va male qualcosa, chi se ne frega. Quando sei un’artista è diverso. O fai veramente le cose che ti piacciono e sei bravo tanto da uscira dalla media oppure è meglio che lasci perdere. Se avessi dovuto continuare con le cose dei DSE… ma chissenefrega! Se fossi tornata in Italia dieci anni fa, so benissimo che avrei fatto sicuramente come ho visto fare a Vandelli, Mino Reitano, quanti te ne posso nominare che sono contenti di riassaporare… è un po’ tornare indietro e sentirti più giovane, e sicuramente si stanno divertendo, ma io pure. Ma se fossi diventata una davvero grande forse avrei fatto come Mina e Battisti.
Sparire dalla circolazione? Lo hai fatto lo stesso!
Sì, l’ho fatto lo stesso essendo nessuno. Dai, “come on”! Sto parlando di due mostri sacri della musica. Certo, forse posso capire quello che provavano. Erano attratti da quello che facevano, ma non dal mondo che gira attorno alla musica, probabilmente. O da quella patina di pubblicità, essere sempre in prima pagina. Non è facile! Devi sempre lavorare bene, devi dire sempre le cose giuste. Ma in questo periodo sto bene come non mi succedeva da anni. Sai, quando sei sposata diventa un po’ una routine e non ti metti quasi mai in discussione. Poi è arrivato questo divorzio e mi ha “fatto bene”.
Comunque amo i giovani e mi piace stare in mezzo a loro e viceversa. Anche a livello sentimentale mi succede spesso che mi chiedano di uscire uomini più giovani che trovo molto più aperti e divertenti, si fanno meno problemi. Quelli della mia età, certo non tutti, invece li trovo un po’ “matusa” e pesanti.
 

Lucio Battisti intervista con Roberto Arnaldi e versione "solo"


Intervista di lucio Battisti con Roberto Arnaldi
 

Eppur mi son scordato di te (live)

 

Eppur mi son scordato di te
Lucio Battisti canta dal vivo con la chitarra Eppur mi son scordato di te, canzone all'epoca affidata alla Formula 3. Sembra che Battisti, recandosi negli studi RAI a Roma, dimenticò la propria chitarra a Milano e ne acquistò all'ultimo momento una da pochi soldi alla stazione Termini; nonostante ciò la sua esibizione mandò in visibilio il pubblico, che nel finale iniziò anche a urlare.

Testo 
Eppur mi son scordato di te
come ho fatto non so.
Una ragione vera non c'è lai era bella però.
Un tuffo dove l'acqua è più blu niente di più.

Ma che disperazione
nasce da una distrazione
era un gioco non era un fuoco.
Non piangere salame dai capelli verde rame
è solo un gioco e non un fuoco
lo sai che t'amo io ti amo veramente.

Eppur mi son scordato di te non le ho detto di no
ti ho fatto pianger tanto perchè
io sono un bruto lo so.
Un tuffo dove l'acqua è più blu niente di più
ma che disperazione...ecc

(solo voce)

Che disperazione nasce da una distrazione
nasce da una distrazione
che disperazione nasce da una distrazione
nasce da una distrazione
che disperazione nasce da una distrazione
nasce da una distrazione
che disperazione.

Un tuffo dove l'acqua è più blu...ecc
 

Io vivrò senza te (live)




Io vivrò senza te (1970)

Che non si muore per amore
è una gran bella verità
perciò dolcissimo mio amore
ecco quello, quello che, da domani
mi accadrà
Io vivrò senza te
anche se ancora non so
come io vivrò
Senza te, io senza te
solo continuerò e dormirò
mi sveglierò, camminerò
lavorerò, qualche cosa farò
qualche cosa farò, si, qualche cosa farò
qualche cosa di sicuro io farò: piangerò
sì io piangerò

E se ritorni nella mente
basta pensare che non ci sei
che sto soffrendo inutilmente
perchè so, io lo so, io so che non tornerai

Senza te, io senza te
solo continuerò
e dormirò, mi sveglierò
camminerò, lavorerò
qualche cosa farò qualche cosa farò
sì qualche cosa di sicuro io farò,
piangerò, io piangerò
Sì piangerò, io, piangerò...
 

Lucio Battisti: Storico duetto con Mina

 
 
 
 
LA STAMPA.IT
Domenica 23 aprile 1972, Secondo canale (superfluo dire: della Rai. C’era solo lei). Dal Teatro delle Vittorie in Roma sta andando in onda Teatro 10. La trasmissione è in bianco e nero, anzi soprattutto nel bianco che più bianco non si può tipico delle piccole scenografie dei grandi show di Antonello Falqui.

Alle 21,47, scatta l’ora di un evento eccezionale nella storia della televisione italiana, quindi della società italiana: per la prima, unica e ultima volta cantano insieme Mina e Lucio Battisti. I due giganti del pop italiano, i due artisti più geniali e irregolari della patria canzone, i due colossi che scelsero di sparire dalla scena dopo averla occupata fino alla massima capienza grazie a una combinazione irripetibile di genio, carisma e mistero, insieme sullo stesso palcoscenico. Il grande cantautore e una delle sue interpreti preferite. È storia forse minima, ma è certamente storia.

L’evento dura otto minuti e 20 secondi. Per ricostruirlo nei minimi dettagli, fra antefatti, retroscena, aneddoti e testimonianze, il giornalista Enrico Casarini ha impegnato diversi anni di lavoro e le 368 pagine di un libro godibile e profondo, Insieme Mina Battisti (sottotitolo: «1972: Il duetto a Teatro 10 e la fine del sogno italiano», Coniglio editore, 14,50 euro). Dentro c’è, ovviamente, di tutto e di più, anche perché pur sempre di Rai si parla. A cominciare dalla descrizione del programma, uno dei black&white più scintillanti e rigorosi del leggendario Falqui, e qui per definire uno stile basta davvero la parola.

Era un classico «sabato sera», ma spostato alla domenica per lasciare la vigilia del dì di festa al Pinocchio di Comencini, che i bambini lo potessero vedere anche se arrivava dopo Carosello. Introdotti dal gran cerimoniere Alberto Lupo, a Teatro 10 sfilavano i nomi più «pesanti» dello showbiz internazionale, incorniciati dalla voce di madama Mazzini, che cantava da sola, duettava con un ospite e poi mandava tutti a nanna con Parole parole parole. Qualità garantita, com’era la regola dell’allora deprecata e oggi rimpianta tivù bernabeiana: quella sera, per dire, finirono in bocca al Lupo Johnny Hallyday (che, a giudicare della descrizione, era già più o meno come adesso), Enrico Montesano (come rimpiazzo di Pino Caruso), le sorelle Kessler (per un annunciato «spogliarello» che, in cinque minuti, mostrò meno epidermide di cinque secondi di un qualsiasi Grande Fratello) e addirittura il grande violinista classico Salvatore Accardo, dato che la tivù democristiana era anche dolcemente educativa come una vecchia maestra montessoriana. E poi, naturalmente, i due mostri non ancora sacri, Mina & Lucio.

Molti aneddoti sono gustosi e danno il senso degli anni passati. Per esempio, l’Ufficio stampa della Rai non si faceva problemi a definire nelle sue veline «ballerina negra» una ballerina che oggi sarebbe solo nera. Poi c’è la band di Battisti che scende da Milano a Roma in wagon-lit, perché il volo costa troppo. Arrivano ovviamente cotti e le prime prove non vanno bene. Sbuca Adriano Celentano che passa di lì, sente il disastro e dice: «Oh, se vi serve qualcuno io sono qui». E nel monologhino d’apertura Lupo faceva già delle ironie sulla difficoltà di trovare gli idraulici: nel ‘72!

Però questo libro non è solo un «come eravamo» - che poi sottintende sempre: «migliori» - né un’elegia su quella tivù sì bella e perduta - che pure sarebbe la dimostrazione che i luoghi comuni sono spesso anche veri (lo spiegò, anni dopo, proprio Mina: oggi «c’è troppa offerta. Troppi canali, ore da riempire. La tv in bianco e nero era certamente meglio, per carità. Ma c’erano solo due canali: imponeva una certa selezione. Tutto lì».)

Questo libro è anche il racconto di una svolta, anzi di molte svolte. Intanto per i magnifici due: entrambi, Battisti di colpo, Mina con un addio prolungato, presto decideranno di sparire, di giocare a nascondino con il pubblico, di sottolineare con l’assenza la loro perdurante presenza. Poi la svolta per una televisione che, davvero, iniziò a morire nel momento del suo massimo splendore. Erano gli ultimi grandi momenti di quella Rai educativa e educata, moralista e ben fatta. Iniziò a cambiare proprio con il Pinocchio: girato a colori (anche se trasmesso in bianco e nero perché così erano gli schermi italiani per i noti ritardi tecnologici e le fobie moralistiche di La Malfa senior), pensato «per tutti», bambini compresi, e incentrato su un libro da tutti conosciuto, mentre prima lo sceneggiatone tivù spezzava al popolo il pane della grande letteratura altrimenti inabbordabile: da Delitto e castigo in giù.

Ma, soprattutto, erano gli ultimi anni di una certa Italia. Fuori dal Teatro delle Vittorie, le parole parole parole iniziavano a diventare pesanti come pietre. Crisi economica, crisi politica (le prime elezioni anticipate della storia repubblicana), i primi raid delle Brigate Rosse il delitto Calabresi, la strage di Peteano. E allora anche un duetto in bianco e nero colorato dalle due voci più straordinarie della nostra canzone diventa la colonna sonora di una piccola, borghese, italianissima Età dell’innocenza.
 

Lucio Battisti - Ultima Intervista




Ultima intervista esclusiva a cura di Giorgio fieschi, Radio Svizzera, Lugano 18 Maggio 1979.
 

Pasquale Panella recita "Anonimo" di Battisti/Mogol

http://www.battistinews.it/wp-content/uploads/2011/03/Panella.jpg 



Pasquale Panella, che ha scritto i testi delle canzoni di Battisti dal 1986 al 1994, recita "Anonimo", canzone del duo Battisti-Mogol, dell'album "Anima Latina".
Qui sopra il video.
 

Intervista ad Alfiero Battisti


«Mio figlio Lucio» Si chiama Alfiero, ha 90 anni (ma ne dimostra meno) ed è il padre di Lucio Battisti. Lo abbiamo incontrato a Poggio Bustone, in provincia di Rieti, suo paese d'origine. È la prima volta che accetta di parlare con un giornalista. E affida a «Sorrisi» un ritratto del cantante ricco di curiosità e di particolari finora inediti. Per esempio, sapevate che l'autore di «Emozioni» poco prima di morire stava per laurearsi in matematica? 11/9/2003
di Alfiero Battisti
(a cura di Aldo Dalla Vecchia)
Se Lucio mi manca? Tutti i figli mancano, non solo il mio perché era Lucio Battisti. Certo, mi fa piacere che venga ricordato, però gli anniversari mi rinnovano il dolore. Tre mesi fa è morta anche l'altra mia figlia, Albarita, e ho il cuore spezzato. Oggi Lucio avrebbe 60 anni, era nato nel '43. Mi ricordo quando gli regalai la prima chitarra. Era in quinta elementare, aveva 11 anni. Il nonno materno di Lucio era musicista, era il direttore di una banda, e anche io non sono proprio a digiuno su questo argomento. Però quella di dedicarsi alla musica è stata un'iniziativa tutta di Lucio, non glielo ha mai suggerito né tantomeno comandato nessuno. Semplicemente, è andata così. All'inizio suonava la chitarra con i numeretti. Poi, visto che insisteva, gli ho detto: va bene, impara e vai avanti, ma intanto continua gli studi. Io ero un dipendente pubblico, mi faceva piacere che mio figlio prendesse un pezzo di carta. Stiamo parlando di 50 anni fa, tutti i genitori avrebbero voluto che i figli studiassero per il posto fisso, invece...

La chitarra in testa
Già a 16 anni Lucio chiedeva di andarsene. Venivano da me i direttori delle orchestre che facevano serate in giro. Lucio suonava la chitarra molto bene e loro volevano portarlo via. Ma io mi opponevo. Quando tornavo a casa la sera, lo trovavo sempre con la chitarra in mano, mentre pensavo che avesse passato il giorno a studiare. A un certo punto, la chitarra gliel'ho anche spaccata sulla testa. Intendiamoci, senza fargli male. Come tutti sanno, la parte inferiore della chitarra è sottile, basta fare un po' di pressione e quella si rompe. Lucio non ha detto niente, mi ha guardato e basta. Il giorno dopo è venuto da me in ufficio, io lavoravo al dazio, siamo andati insieme in un negozio e gli ho comprato un'altra chitarra. Con l'andare del tempo e con una metodicità straordinaria, Lucio si è via via perfezionato sempre di più. Anche Albarita, l'altra mia figlia, studiava musica, e in particolare il pianoforte, ma quello che poi è andato avanti è stato Lucio. I primi tempi si esibiva con diversi gruppi. Più di tutti si trovava bene con Roby Matano, il cantante di un complesso che a quei tempi andava molto forte, i «Campioni». So che Matano adesso ha scritto un libro su Lucio (vedi box a pag. 62; ndr). Suonavano al «Milleluci» di via Nazionale, a Roma, e in alcuni altri locali. Si manteneva da solo, in casa non ha mai chiesto soldi. Pure i libri di scuola si comprava con i guadagni di musicista. E quando si è diplomato, non ha chiesto una lira alla mamma. Ricordo che sono venuti a prenderlo i compagni per andare a festeggiare. Mia moglie si è affacciata, gli ha detto: «Ma vai via senza soldi?». E lui: «Grazie, no, non ne ho bisogno». Era un ragazzino molto giudizioso. Per tre, quattro anni, ha fatto la gavetta, è andato anche a Sanremo. Non ha mai cercato il successo a tutti i costi, non era nel suo carattere. Era sicuro di sé ma non presuntuoso. Era un ragazzino tranquillo, indifferente a quello che gli succedeva attorno.

In Olanda con la 500
Tutto è cominciato veramente il giorno in cui Lucio è andato dal papà di Mogol, Mariano Rapetti, che era il direttore della casa discografica Ricordi. Rapetti l'ha ascoltato, ma in un primo momento l'ha congedato. Poi deve averci ripensato, perché l'ha fatto richiamare subito. In seguito, l'ha aiutato anche Cristina (Christine Leroux, discografica francese, la prima produttrice di Battisti; ndr) e naturalmente Mogol. Con mia moglie Dea andavamo dappertutto a trovare Lucio, che era sempre in giro a suonare, nei posti più diversi e anche lontani. Mia moglie è arrivata pure in Olanda con la 500. Una volta, Lucio suonava con Roby Matano in un locale di Firenze, il «Pozzo di Beatrice». Mia moglie quella notte non aveva dormito, aveva come un presentimento. La mattina si è alzata, ha preso la 500 ed è andata a Firenze. Ha trovato Lucio con la febbre a 40 e l'ha curato. Lucio stava molto in contatto con la mamma, le scriveva perlomeno tre volte la settimana. Anche quando si è trasferito a Milano siamo stati spesso da lui.
A Milano, i primi tempi, Lucio viveva in un appartamento in affitto. Quelli che lavoravano con lui si ritrovavano sempre tutti lì, perché Lucio era amico di tutti e gli piaceva aver gente in casa. I Dik Dik gli erano molto vicini. E anche la Formula 3. Mi dicono che gli piacevano le barzellette, che era allegro, che teneva la conversazione... Queste cose me le ha raccontate Mogol, e nonostante gli anni che passano con Mogol sono rimasto sempre in contatto.

10 miliardi per una tournée
Mogol è venuto al funerale di mia figlia Albarita, tre mesi fa. Gli ho anche presentato il figlio di un mio cugino, laureato in Musicologia a Bologna, che adesso lavora con lui. Quando si sono divisi con Lucio, Mogol ci è rimasto male. A me Lucio diceva: «Sai com'è, papà, le cose cambiano, però non è detto che un giorno non mi rimetta a lavorare con lui...». Mogol conosce bene il perché della separazione ed è per questo che è rimasto amico di tutti noi qui: è che la moglie di Lucio a un certo punto si era messa in testa di fare l'autrice di testi e la poetessa (infatti il primo disco di Battisti senza Mogol, «E già», ha i testi firmati da "Velezia", uno pseudonimo dietro al quale si nasconde proprio Grazia Letizia Veronesi, la moglie di Battisti; ndr). Le parole delle canzoni le scriveva Mogol, poi però le doveva sottoporre a Lucio e lui spesso levava via tanti pezzi. La canzone che preferisco di mio figlio è «Non è Francesca». Il perché non lo so, ma è così. Panella (Pasquale Panella, l'autore dei testi degli ultimi cinque album di Battisti; ndr) l'ho conosciuto solo al telefono. Non mi sembra che sia un autore scarso come dicono alcuni, anzi per me è bravissimo. Lucio diceva: «Bisogna pure tentare altre strade, per me è un ottimo autore». Tra le canzoni di Mogol e quelle di Panella io tanta differenza non ce la trovo. Mogol è bravo e Panella non è da meno.
Non è vero, come dicono, che Lucio era spaventato dal contatto con il pubblico. Semplicemente, non voleva essere notato. Una volta siamo andati a prendere l'olio da un mio amico qui in un paese vicino, in Sabina. Mentre caricavamo i bottiglioni di olio arriva un ragazzo sui 15-16 anni e gli chiede: «Ma lei non è Lucio Battisti?». E lui: «Magari fossi Lucio Battisti!» e se ne è andato. Era fatto così, non ci teneva proprio. Anche gli spettacoli dal vivo... Sono io che non glieli facevo fare. Non c'era convenienza e poi i soldi non gli interessavano proprio. Io l'ho amministrato fino al 1988: avevo richieste da grandi organizzatori. Mandavano l'assegno in bianco, dicevano: «Puoi mettere fino a 10 miliardi». Ma lui rinunciava. Lo stesso con la televisione. Una volta pagava male, la televisione. Negli Anni Sessanta Lucio era andato a Parigi per un programma e, quando è tornato, vado a vedere e scopro che gli avevano dato 70 mila lire, quando soltanto di viaggio ne aveva spese 200-300 mila. Ultimamente l'avrebbero pagato chissà quanto, però lui non voleva lo stesso...

Una tesi in matematica
A Molteno (la residenza di Lucio Battisti in Brianza; ndr) sono stato spesso a trovarlo. Siccome sono un grande invalido di guerra, avevo diritto a due mesi di ferie e uno lo passavo da lui. Lui suonava, suonava... Passava le nottate con la chitarra in mano, era un perfezionista. Gli piaceva anche dipingere, era un grande appassionato di pittura astratta. Mi ha detto Mogol che negli ultimi tempi Lucio aveva ripreso a studiare e si stava laureando, stava per discutere la tesi in matematica. Purtroppo non ha fatto in tempo... Al funerale non ci sono andato, non me la sono sentita... Alla mia età, e con la mia ferita, un'angoscia così poteva essere pericolosa. Della sua malattia, Lucio a me non ha mai detto niente. Certo nessuno pensava che andasse a finire così, ma forse è una questione genetica. Mio fratello è morto a 54 anni della stessa malattia, una rara forma di tumore, e anche Albarita, l'altra mia figlia, e anche mia moglie...
Con la mamma Lucio aveva un rapporto molto forte. Quando veniva a trovarci qui a Poggio Bustone, Lucio era alla mano, verace. Gli piaceva la pastasciutta fatta in casa, le strangozze, come le chiamiamo qui, fatte con il pomodoro e il basilico. Gliela preparavano la mamma o le zie. Lucio era un tipo semplice. A me diceva sempre: «Papà, io faccio un mestiere come tutti gli altri e ringrazio quelli che mi comprano. Io vendo musica e non mi interessa chi se la vuole piglia'. Solo che gli spettacoli ai partiti non ce li vado a fa'». Però non è vero che aveva chiuso con i concerti, infatti faceva uno spettacolo che non ha mai saputo nessuno. Non lo sanno i parenti qui, non lo sapeva la famiglia, non lo sapeva nemmeno mia moglie Dea. Lo sapevo solo io perché mandavo su i soldi. Lucio, una volta al mese, cantava per i bambini down di un istituto di Milano.

«Papà, non sto bene...»
Negli ultimi tempi mio figlio aveva deciso che voleva ristrutturare la nostra vecchia casa di Poggio Bustone e io avevo già fatto togliere tutti i mobili. Ma non ha fatto in tempo, l'autorizzazione è arrivata dieci giorni prima che morisse. Mi ha telefonato per dirmi che non sarebbe venuto. Mi ha chiamato dal letto, con il suo telefonino: «Guarda papà che non sto bene. Quando so' guarito vengo giù e scegliamo insieme la ditta». Invece le cose sono andate così. Io sto bene, non ho bisogno di niente, vivo con la mia pensione. Non ho mai chiesto nulla. Di mio figlio Lucio non ho potuto vedere neanche la cartella clinica. L'ho fatta chiedere tramite un medico di Milano che conosco, lui si è informato ma mi ha detto che non è possibile, che la possono avere solo gli eredi. Mio nipote Luca dopo la morte di suo padre non l'ho sentito più. So che studiava a Londra, poi non ho saputo più niente. Se non vuole sentirmi, avrà qualche motivo. Se voglio dirgli qualcosa? È inutile: non mi risponderebbe, lui e sua madre non si sono mai fatti sentire...

Al ristorante il conto lo pagava con la legna...
«Ahò, ma te ciài sempre voglia de cantà!». Fu così che Lucio Battisti durante una pausa della trasmissione «E penso a te», una delle ultime in cui apparve in tv, si rivolse a Orietta Berti (lei stessa conferma), rea di aver sempre il sorriso stampato sulle labbra. Francesco Rapetti (figlio di Mogol) racconta: «Il vero Battisti adorava la natura e le passeggiate con il suo bastardino nero Ettore. Possedeva una Mercedes serie S targata MI alla quale era molto affezionato». Il ristorante Negri, sul Lago di Pusiano (LC), era il luogo dove Lucio amava rifugiarsi negli ultimi tempi: «Odiava i fritti, eccezion fatta per i "latterini", piccoli pesci che ordinavo dal Lazio per lui. Gli ricordavano la sua infanzia, sua madre li cucinava sempre» afferma Virgilio Negri proprietario del locale. «A tavola aveva delle priorità: riso con pesce persico accompagnato da un bicchiere di Bonarda. Il conto? Tra di noi c'era un accordo, dato che Lucio possedeva una quantità industriale di legna e io ne avevo bisogno: lui mi forniva legna, io ricambiavo con pranzi e cene. Per prenderla, andavo a casa sua con il trattore; anche lui ne aveva uno, molto più grosso. Entrare a Dosso di Coroldo era impossibile: Lucio veniva a prendermi all'ingresso del residence con la sua Vespa 125 azzurra. La casa in cui viveva era stata costruita da Mogol, e successivamente acquistata da Battisti nel 1967 per 180 milioni di vecchie lire. Il suo giardino era pieno di roseti che lui stesso curava da mattina a sera inoltrata. Odiava quando io e Mogol andavamo a caccia. La moglie? Non è più la stessa. Se è testimone di Geova? No comment...». Chi invece ha voglia di parlare della vedova Battisti è Elena, anziana signora che cura il cimitero di Molteno: «Non dimenticherò mai quando la "Yoko Ono della Brianza" - così la chiamano da queste parti - in preda a un attacco d'ira gettò oltre le mura del cimitero i 50 fiori che un fan aveva lasciato davanti alla tomba di Lucio. I due diedero vita a una rissa verbale e per poco venivano alle mani... Anche il signor Battisti, quando era in vita, qualche rissa l'ha fatta: si dice che a volte, di notte, si alzava e andava in giardino per tagliare gli alberi dei suoi vicini... In merito a questi fatti ci sono state anche delle denunce, ma nessuno ne parla... Oggi la vedova raramente si reca al cimitero: lo fa negli orari più improbabili, indossa lunghe vestaglie nere ed è trasandata. Irriconoscibile». Dante Proserpio, proprietario della ricevitoria di Molteno, ricorda: «Due settimane prima del ricovero, Lucio era venuto in negozio per comprare le sigarette per la moglie e una marca da bollo. Il suo giro in paese era sempre lo stesso: "Corriere della Sera" acquistato nell'edicola di via Riva e la carne comprata nella macelleria Pigazzini. Negli ultimi periodi andava a fare la spesa al Rex Market di Oggiono con il suo fuoristrada nero». Galdino Conti ricorda il Battisti calciatore: «Non era un fenomeno, iniziava la partita a centrocampo e poi finiva in porta!». C'è anche il ricordo di Stefano Viganò, un ragazzino che pochi giorni prima del ricovero lo aveva incontrato alla locanda San Rocco: «Stava cenando con sua moglie, io mi avvicinai per chiedere un autografo e lui seccato mi rispose: "Va' via, sto mangiando!". Mai avrei pensato che di lì a poco avrei accompagnato come chierichetto il parroco don Carlo Ambrosoni ai funerali di Battisti...».